1° puntata: i falsi miti sul ruolo del portiere
Il ruolo del portiere, da sempre, è visto come un ruolo a sé dove un uomo solo lavora in maniera differente rispetto ai compagni ed in più può anche utilizzare le mani per prendere la palla.
La realtà dei fatti, però, racconta qualcosa di diverso. Il portiere moderno ormai non è più un “giocatore” che si veste con una maglia dal colore diverso rispetto ai compagni il cui ruolo è quello di evitare di subire gol ma è un vero e proprio “calciatore” come tutti gli altri. Attenzione alla terminologia utilizzata perché il virgolettato su giocatore e calciatore è utilizzato volutamente per focalizzare l’attenzione sul fatto che anche il portiere è a tutti gli effetti un calciatore e come tale partecipa sia alla fase offensiva che, naturalmente, alla fase difensiva. “Il portiere è il primo attaccante” non è una mera provocazione ma ormai una verità. Dalla costruzione del gioco dal basso alla ripartenza rapida per una transizione repentina (costruzione del gioco – fase offensiva), passando ovviamente per il lavoro di copertura della porta ed il lavoro a supporto nelle uscite (supporto alla fase difensiva), il ruolo ha subito un’ evoluzione importante e significativa. Sfatato, quindi, il primo mito che vede il portiere solamente come l’uomo addetto a non far prendere il gol alla squadra.
“La palla nell’ area piccola deve essere sempre del portiere”. Quante volte nella propria vita calcistica ognuno di noi ha sentito questa frase. Quello che è un vero e proprio mantra riguardo al ruolo del portiere ed alle sue competenze sulle palle aeree in realtà non è assolutamente vero. Innanzitutto è bene precisare che non si tratta di “area piccola” ma di “area di porta” perché l’area è una sola e si chiama “area di rigore” e misura 16,5 m x 40,32 m. Al suo interno, poi, c’è l’area di porta che delimita uno spazio limitrofo alla porta che, è bene saperlo, misura 5,5 m x 18,32 m quindi 100,76 m2 in totale. Un uomo, seppur allenato tecnicamente e magari prestante fisicamente, non può certo coprire da solo una superficie così ampia ma la fase difensiva, su un palla inattiva, deve essere fatta in collaborazione anche con gli altri calciatori della squadra. Che la difesa sia a zona oppure a uomo il portiere è parte integrante della fase difensiva nell’ area di porta, non l’unico responsabile. Sfatato anche questo mito.
Spesso e volentieri, inoltre, di fronte ad interventi particolarmente rapidi e magari su tiri da distanza ravvicinata si sente parlare di “parata d’istinto” del portiere. Di “istinto” si potrebbe parlare se il comportamento dell’ atleta fosse innato, un qualcosa di già insito nelle caratteristiche di base del portiere, invece dietro certi interventi c’è un lavoro specifico sul campo che porta il portiere a migliorare la propria sensibilità percettiva e le proprie abilità tecniche individuali. Si tratta dunque di una manifestazione motoria eseguita dal portiere in tempi estremamente brevi frutto di una serie di apprendimenti acquisiti con ore e ore di allenamento. La “parata d’istinto”, dunque, non esiste. Sfatato anche questo mito.
Allenatori, direttori sportivi, presidenti, giornalisti ma anche addetti ai lavori si permettono di parlare di questo ruolo cercando anche di dire la loro con supposte competenze frutto (magari) di anni di esperienza nel calcio utilizzando talvolta frasi fatte e pre-concetti che nella maggior parte dei casi sono ampiamente sbagliati.
Il ruolo del portiere va conosciuto, studiato ed analizzato con un occhio tecnico e competente. Ecco perché, nella prima puntata di questa rubrica dedicata ai numeri uno, la scelta è stata quella di sfatare dei falsi miti. Ci sono tanti aspetti che vanno conosciuti per poter giudicare, c’è tanto lavoro da fare per far accrescere la cultura sul ruolo del portiere, ci sono tanti esercizi che portano il numero uno a migliorare. Li scopriremo insieme con “Numero uno – alla scoperta del ruolo del portiere”
Marco Cella