Questa dicotomia è uno dei grandi interrogativi del calcio moderno, in special modo quello dilettantistico.
Argomento spinoso e spesso volutamente ignorato da molti allenatori, è applicabile nell’attività di base,
nell’agonistica, nel dilettantismo, ma anche nel professionismo. Sulla materia sono state scritte tesi illustri;
ci limiteremo qui ad inquadrare il problema dal punto di vista delle proposte sul campo.
Allenare per schemi significa scomporre un’azione di gioco in vari comportamenti tattici per ottenere, una
volta ricomposta l’azione, un armonico risultato nel quale ogni parte in gioco svolge un ruolo ben preciso.
Un’analisi nel vero senso del termine, volta all’acquisizione dei singoli gesti che compongono un’azione, da
allenare spesso senza avversari, in maniera automatica, meccanica e dettata dal principio di causa ed
effetto. Il dizionario etimologico riporta la seguente definizione al lemma “schema”: “oggetto che esiste
nella mente indipendentemente dalla materia.” Tralasciando il riferimento all’aspetto concreto, (oggetto e
materia), si potrebbe mutuare per il calcio nella sequenza di movimenti fissi che esistono nella mente del
giocatore (e dell’allenatore) indipendentemente dall’ambiente.
Allenare per principi invece consiste nell’esercitare l’acquisizione delle relazioni che intercorrono tra le
varie gestualità (non solo causa ed effetto, ma reciprocità, circolarità, funzionalità successiva). Va da sé che
tale allenamento richiede uno sforzo cognitivo molto più elevato, corredato da una forma mentis flessibile,
plastica e dedita al cambiamento improvviso. Per il calcio consiste nell’assimilazione di regole generali di
gioco, suggerite dall’allenatore, da declinare autonomamente sul campo a seconda della situazione.
Tralasciando la filosofia, i due approcci meritano una riflessione più concreta: di campo.
Non è possibile sostenere quale dei due metodi sia migliore (sarebbe come dire se è preferibile andare a
cena con Belen Rodriguez o con Miriam Leone, PS: per par condicio, con Johnny Depp o Brad Pitt).
Forse sarebbe più corretto parlare di preferenza legata a particolari momenti spaziali e temporali del gioco.
Rispettare uno o più schemi fissi su un calcio piazzato può essere particolarmente proficuo in una prima
squadra che deve fare risultato. Ingabbiare la mente di bambini con schemi su un calcio d’angolo significa
intorpidire il loro bisogno di creatività. Bisogno che non può essere soddisfatto in età più matura.
Allo stesso modo, allenare delle azioni di gioco secondo schemi fissi può, in apparenza, essere utile al
giocatore (apprendimento di un movimento in più nel bagaglio di esperienze) ma, d’altro canto, limita la
creatività e l’estro che sono alla base del calcio. Non è detto, peraltro, che l’acquisizione di un gesto in
allenamento possa essere riproposta in situazioni emotivamente diverse.
In definitiva, nell’attività giovanile allenare per schemi significa, probabilmente, limitare le capacità di
crescita del ragazzo, ingabbiandolo in situazioni che potranno essere utili nell’immediatezza (non del tutto
certo), ma che sicuramente non potrà utilizzare in futuro.
Al lettore l’ardua sentenza sulla metodologia che ritiene più idonea.
Le esercitazioni che seguono sono un esempio di come interpretare ed approcciarsi alle due filosofie.