Le parole sono importanti – Osvaldo Bagnoli
Milanese doc, inizia a giocare a calcio nell’Ausonia, società dalla quale viene prelevato dal Milan assieme a Pippo Marchioro, anch’egli futuro allenatore. Un giorno lo aggregano alla prima squadra, ma lui ha il lavoro in fabbrica che s’incastra con gli orari della Primavera: per allenarsi con la prima squadra dovrebbe cambiare tutto. In fabbrica prende 28mila lire al mese, gliene offrono 35mila per licenziarsi e diventare calciatore a tempo pieno. In seguito gioca, tra le altre squadre, nel Verona, nel Catanzaro e nella Spal. Dopo il ritiro allena Verbania, Solbiatese, Como, Rimini, Fano, Cesena e Verona, con cui vince lo scudetto al termine della stagione 1984-85. Con il Genoa arriva in semifinale di Coppa Uefa. Conclude la sua carriera sulla panchina dell’Inter.
Il Verona giocava un calcio tradizionale, che facevamo pressing lo leggevo sui giornali. Io in campo non l’ho mai notato
Dello scudetto con il Verona mi resta l’affetto della gente, in città, e dei miei giocatori. E ogni volta che vedo tutta questa gente contenta mi dico che abbiamo fatto qualcosa di bello
Lo scudetto lo abbiamo vinto tutti insieme, voglio sia chiaro. I giocatori, il ds Mascetti, il presidente Guidotti, il patron Chiampan, la città che non ci ha messo pressione. Abbiamo avuto anche un po’ di fortuna: avevo una rosa di 17 giocatori per campionato, Coppa Italia e Coppa Uefa. Si infortunavano uno alla volta, potevo metterci una pezza
Per la campagna acquisti sfogliavo l’almanacco Panini e cercavo centrocampisti da tre-quattro gol a stagione
Anche alla Bovisa giocavamo a pallone scalzi, non succede mica solo in Brasile. Così gli scarpini, che costavano cari, duravano di più
Dopo la prima media sono passato a una scuola di disegno tecnico, che era già lavorare. Nel doposcuola facevo cinture, poi fasce elastiche in un’officina meccanica. Lavori che insegnano cos’è la fatica, i veri sacrifici, altro che quelli dei calciatori
Se avevo l’8 giocavo meglio che se avevo il 7. Non è solo una questione di numeri, è anche una cosa di testa, un sentirsi al posto giusto
Il succo del lavoro dell’allenatore è trovare per ognuno il posto giusto. Al Verona Marangon ci ha detto che se ne voleva andare e così abbiamo preso Briegel. Poi Marangon è rimasto e ci siamo ritrovati con due terzini sinistri, uno spreco. Un giorno parlo con Briegel, mi dice che giocare a centrocampo è il suo sogno. Bene, gli dico, allora alla prima di campionato marchi Maradona. Finì 3-1 per noi e Briegel segnò un gol
Alla fine del ritiro riunivo la squadra e dicevo: i miei 11 sono questi, gli altri giocheranno in caso di incidenti o squalifiche, ma devono farsi trovar pronti
Gianni Brera mi ribattezzò Schopenhauer ma io non sono pessimista, sono realista. Ci sono volte che puoi indirizzare le cose, altre volte vanno come vogliono loro
Non è vero che parlavo poco per timidezza: semplicemente aprivo bocca quando avevo qualcosa da dire
Da Marchioro ho imparato una regola fondamentale per chi vuol fare l’allenatore: non conta il modulo, contano i giocatori. E conta che a fare la squadra sia l’allenatore. Tocca solo e soltanto a lui
Lo scudetto è arrivato nell’unico anno in cui c’era il sorteggio integrale degli arbitri: sembra che abbiamo vinto perché gli arbitri fischiavano diverso e ci hanno favoriti. Invece fischiavano allo stesso modo
Il Var è una gran bella cosa, un grande aiuto per gli arbitri. Molti errori possono essere corretti grazie alla tecnologia e questo rende il calcio più giusto
In tv faccio fatica a ricordare i nomi dei tanti stranieri. Ma non vedo questo gran spettacolo. Sette-otto passaggi per arrivare a centrocampo e poi palla indietro al portiere, che barba
Alla Solbiatese fui esonerato per una questione di dignità, di rispetto dei ruoli. Nell’intervallo il presidente voleva cambiare posizione a Tosetto
All’Inter ho vissuto l’esonero come un’ingiustizia. Pellegrini ha detto di provare rimorso per quel licenziamento, che definisce il suo più grande errore da presidente, comunque è acqua passata. Ho scoperto com’è bello godersi la famiglia, e già allora i giocatori pretendevano tanto e davano poco
Berlusconi non mi ha voluto al Milan perché diceva che ero di sinistra. In realtà votavo socialista perché mio padre era socialista